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Listening 1: Dalla parte del mare
Qualsiasi gesto quotidiano come bere, mangiare o lavarsi produce un rifiuto. Sembra normale, ma non lo è. Ormai siamo tutti complici. Dovremmo essere imputati nel più grande processo per disastro ambientale della storia. E noi? Semplicemente continuiamo a fingere che il problema non ci riguardi. 
Al villaggio di pescatori di Langkawi i bambini camminano e giocano su un tappeto di plastica. I prodotti sono gli stessi di mille altre comunità più ricche o più povere; il riciclo non esiste né tantomeno la possibilità di farlo. La plastica qui non è un rifiuto, ma parte dell’ambiente, chiamiamola “immondizia a km 0”: dalla palafitta alla laguna, poi con la marea fino all’oceano, dove i rifiuti si mescolano definitivamente con la natura. 
Non riusciamo a capire che una semplice azione apparentemente innocua, come bere da una bottiglia di plastica, ripetuta da 7 miliardi di persone, diventa un grosso problema per l’ambiente: tre sorsi e una bottiglietta in più da smaltire, un concentrato di stupidità umana. 
[Giovanni Soldini, navigatore]: “Sulla Terra siamo sempre di più e sempre più gente vuole uno standard di vita di un certo tipo e purtroppo non sempre c’è attenzione a questi temi, anzi. Se poi i paesi sviluppati, diciamo leader come per esempio gli Stati Uniti non dimostrano una sensibilità importante come dovrebbero, quegli altri si lasciano proprio andare, no? Ci sono situazioni sempre sempre più drammatiche: il Pacifico è diventato un mare veramente difficile da navigare, cioè proprio per la quantità di oggetti galleggianti che ci sono.” 
I cinque vortici di corrente subtropicali stanno ammassando frammenti in tutti gli oceani, fino al tratto estremo del mare Artico. Migliaia di specie marine sono a rischio di estinzione, semplicemente per colpa nostra, per un modello di sviluppo che forse non può chiamarsi tale. La differenza è quella tra un gabbiano che vola nel cielo e uno morto, soffocato da uno spuntino a base di plastica. 
[Giuseppe Notarbartolo, biologo marino]: “Non possiamo vedere questo enorme ambiente che, anno dopo anno, continua a arricchirsi di plastica, spazzatura dappertutto, cioè una quantità di effetti molto negativi sia perché viene ingerito molto spesso dagli animali e poi si va a bloccare nell’esofago. E poi la plastica col tempo nel mare diventa più fragile e si fraziona in microplastiche, le quali a quel punto diventano sempre più piccole e sempre più facilmente entrano negli organismi. Poi lì negli organismi si accumulano e rilasciano tutte le sostanze nocive e tossiche che contengono. Quello delle microplastiche è un problema enorme”. 
Un nemico invisibile, le nano-fibre di plastica contaminano il mare, il pesce che mangiamo e l’acqua che esce dai rubinetti di tutto il mondo. Ormai sono all’interno del nostro organismo. La plastica serve e non possiamo farne a meno, il problema è che in solo settant’anni di produzione intensiva e globale abbiamo devastato l’ambiente. 
Listening 2: Scelte sostenibili.
Fiorenza Pasculli racconta Mamma Natura
Sono Fiorenza Pasculli, ho fatto l’agente di viaggio per 10 anni, e poi quando son rimasta incinta è iniziato il mio calvario, perché in realtà appunto son rimasta senza lavoro. Quando mi sono trovata purtroppo nella sfortuna di non avere il lavoro ho detto:” Vabbè allora adesso forse è il momento.” Quell’anno che ho passato a casa col mio bimbo insieme a mio marito abbiamo maturato quest’idea di far nascere qualcosa di nuovo. Volevo fare quel qualcosa che non nasce dal per forza dover vendere o fare del guadagno. No. Nel senso che è proprio qualcosa legato a quello che abbiamo dentro. Ci siamo lanciati in un’avventura, noi la chiamiamo così, un’avventura.
Mamma Natura vende prodotti di tipo biologico e naturale. Siamo semplicemente tornati indietro nel tempo, pensando a come anche solo i nostri nonni acquistavano i loro… i loro prodotti. Viaggiando molto ci siamo accorti che negli altri paesi, anche quelli più poveri, vivono ancora dello sfuso, del dell’acquisto anche minimo. Lo sfuso permette anche alle persone di poter prendere ciò che desidera quindi non il di più. Stiamo dando un prodotto di elevata qualità, però a un prezzo diciamo più… più accessibile a tutti, proprio per questo discorso qui di poterne prendere quanto se ne se ne desidera.
I clienti hanno risposto in maniera positivissima. Chiunque entra da Mamma Natura la prima cosa che dice: “Ci voleva un negozio così.” E di questo siamo… siamo contenti. Tutto quello che vedete all’interno di Mamma Natura nasce proprio dal percorso che abbiamo fatto di fiere, quindi anche le fiere ti aiutano a cercare il fornitore che secondo te è il fornitore che può andar bene per il tuo negozio. Ovvio che tutti i prodotti, e dico quasi tutti, li abbiamo anche testati, ovviamente prima di proporli al… ai clienti. Quindi in realtà io quello che sto vendendo so cosa sto vendendo, non lo sto vendendo ad occhi chiusi. Per quello che il lavoro in un anno è stato bello lungo e intenso, proprio perché comunque sei tu, anche come persona, a valutare ciò che stai vendendo come primo cliente. Ecosostenibilità per quanto riguarda appunto Mamma Natura e me in prima persona è appunto a piccoli passi cercare di avvicinarsi al fare la la cosa giusta, distinguere le cose e non buttarle via, ad esempio, proprio riutilizzarle. E secondo noi questo può essere un modo di sostenere quello che è il discorso dell’ambiente. È una cosa lunga, solo quello. Lunga e fra virgolette da seguire parecchio, però non impossibile. Ripeto: se ce l’abbiamo fatta noi che in realtà siam partiti da zero entrambi, tutto poi si affronta piano piano.
Listening 1: Scelte sostenibili. Il cibo nella scuola dell’infanzia tra sapori e colori
[Federico Lamberti, volontario servizio civile] - Mi chiamo Federico Lamberti, ho 26 anni e sono un volontario del servizio civile. Sicuramente un’esperienza come la mia la consiglierei, e consiglierei di di provare a fare la stessa cosa in diciamo in privato, cioè di costituirsi in associazioni, di avere uno scopo, di uno scopo che abbia come come motore questo tipo di sostenibilità e di cercare di fare qualcosa comunque in gruppo. Consiglierei di coltivare un pochettino questo spirito comunitario, e di farlo diventare veramente una passione, di farlo diventare una cosa fondamentale, quanto fare colazione al mattino, cioè una cosa del genere. Il progetto che svolgo si chiama “Il cibo nella scuola dell’infanzia tra sapori e colori”. Questo progetto è interamente scritto, pensato e realizzato da me, se pur con l’aiuto di altri responsabili e degli educatori della struttura in cui svolgo il progetto. 
Con i bambini soprattutto di quella fascia non si trasmettono ideali, si trasmettono comportamenti, comportamenti adeguati, equilibrati. 
Cerco di… di appassionarmi alle cose a cui posso appassionarmi, cioè le cose che mi riguardano da vicino. Posso esprimere solidarietà con dei problemi sociali o ambientali dall’altra parte del mondo o neanche andare così lontano, però devo, cioè ravviso un po’ di ipocrisia ne… in tutti questi movimenti un po’ anche forse un po’ finto impegnati per cui cercano di sensibilizzare la gente a qualcosa che non non può esperire. E non penso che sia un qualcosa di sbagliato, è che penso che in realtà per cambiare le cose uno deve cominciare a cambiare un po’ quello che ha a portata di mano piuttosto che andare a cambiare una cosa che non conosce. E il sostenibile, al di fuori di questi ideali qui, può essere visto come un tentativo di attuare delle pratiche meno invasive possibile dal punto di vista sociale, personale, quindi delle politiche di rispetto del…delle singolarità, delle persone. 
La ritengo molto più sostenibile questo tipo di attività poiché cerco appunto di costruire una comunità, cioè un uno spazio di vita comune in cui si è uguali nel mantenimento delle differenze. E… è questo un po’ il carattere della sostenibilità. 
I bambini sono… hanno questa fratellanza proprio viscerale e quest’incapacità di cogliere le differenze di colore, di religione, di lingua, le differenze fisiche come… come un ostacolo. Si tratta semplicemente di abituarli al, sempre di più al diverso, ma loro sono molto attratti dal diverso, non hanno paura a priori. 
​Io proverò a restare così, però ci sono delle forze che a volte sono più grandi di te e… , è per quello che dico di non restare da soli perché se non, se si resta da soli queste forze diventano ancora più potenti, più difficili da controbattere.
Listening 2: Obesità infantile
Noi siamo in compagnia del professor Alberto Villani che è il responsabile del reparto Malattie Infettive dell’ospedale Bambin Gesù di Roma ed è anche il Presidente della Società italiana di pediatria. Buongiorno professore. 
[professor A. Villani] - “Buongiorno” 
“E ben arrivato. A cosa è dovuto questo aumento che sembra quasi esponenziale di bambini che presentano questa che è ormai una patologia?” 
[professor A. Villani] - “E’ di fatto una patologia ed è dovuto a una disattenzione verso l’alimentazione. L’alimentazione è proprio una scienza, la scienza dell’alimentazione e va curata, questo soprattutto nel bambino molto piccolo. Molti studi hanno dimostrato che i primi mille giorni di vita sono molto importanti, che è importante l’alimentazione della mamma già dal momento in cui inizia il concepimento, e tutti questi dati purtroppo non sono sempre tenuti in debito conto, quindi necessita maggiore attenzione.” 
[giornalista donna] - “Beh diciamo che anche la divisione, più ragazzi che ragazze, per esempio, soffrono di questo problema, anche in questo il sesso conta o è semplicemente una casualità?” 
[professor A. Villani] – “Beh, non è una casualità, tanto è vero che esiste quella che viene chiamata la medicina di genere, quindi maschio e femmina sono molto diversi, hanno un metabolismo diverso. 
[giornalista donna] – “Anche da bambini?” 
[professor A. Villani] – “Anche da bambini, sin da bambini. L’esempio più clamoroso per evidenziare la caratterizzazione maschio – femmina è dato dalla scoliosi: non è casuale che la scoliosi sono nove bambine e un bambino, ma questo è uno dei tanti esempi. Le patologie respiratorie acute del bambino, per esempio, sono più importanti come conseguenze nel maschio che nella femmina, quindi esiste una caratterizzazione di genere. Ma oltre all’alimentazione quello che va tenuto in conto è il movimento, quindi l’attività fisica. È tutto un contesto; è quello che viene normalmente definito lo stile di vita, quindi ci deve essere attenzione all’alimentazione ma anche al movimento.” 
[giornalista maschio] – “A questo proposito non è che noi in Italia siamo messi proprio benissimo perché da un po’ di tempo a questa parte la dieta mediterranea non viene più osservata come prima e c’è un aumento enorme di bambini obesi, che presentano tracce di obesità. La cosa singolare è che questo avviene, grottesco quasi, soprattutto al sud; i bambini più obesi sono in Campania dove guarda un po’, combinazione, è nata proprio la dieta mediterranea con Keys, con il medico americano che la inventò”. 
[professor A. Villani] - “Allora, ehm, anche qui esiste una caratterizzazione che è non solo regionale, ma è anche sociale, quindi l’obesità è caratteristica come situazione ed è prevalente soprattutto nelle regioni del Meridione ma anche tra le fasce economiche più disagiate, quindi è innegabilmente connessa a un fatto culturale e sociale. Sulla dieta mediterranea quello che c’è da dire purtroppo è che non è compatibile sempre con quelli che sono i ritmi di vita attuali. È chiaro che bisogna far di tutto perché venga privilegiata e venga offerta ai bambini. La dieta mediterranea prevede frutta e verdura fresca, prevede l’uso del pesce, prevede un uso razionale della carne. Tutte queste cose purtroppo non sono semplic… sempre facilmente applicabili, e tutto va visto in un contesto. Noi come pediatri abbiamo presentato proprio ieri una consensus insieme alla Società di endocrinologia e diabetologia pediatrica sull’obesità che ha visto coinvolti ottanta, novanta professionisti in tutta Italia di undici diverse società scientifiche proprio per cercare di trovare le ragioni ma anche qualcosa da poter fare 
[giornalista maschio] - “le soluzioni, certo”. 
[professor A. Villani] - “per impedire questo andamento”. 
[giornalista donna] – “Di questi 324 milioni di bambini e adolescenti obesi nel mondo, un milione risiede in Italia. Noi ovviamente, ehm… questa è una cosa universale ma pensiamo ai nostri figli. Cosa si può consigliare ai genitori che si accorgono che il figlio è effettivamente oltremodo pesante rispetto all’età che ha? Che cosa devono fare? 
[professor A. Villani] – “Ma quello che dicevamo prima: molta attenzione. E… per esempio ci sono delle cose che sono grossolane e…e… ma molto applicabili. Uno: l’allattamento materno è molto importante nel primo anno di vita; nel primo anno di vita non va usato il latte vaccino; favorire il movimento dei bambini; fare in modo che si consumino quante meno possibile merendine, succhi di frutta, privilegiando invece gli alimenti freschi. Quindi sono tutte cose facilmente seguibili. Favorire il movimento e un’alimentazione sana. 
​[giornalista maschio] - Grazie, grazie al professor Alberto
Listening 1: Curarsi con i fiori di Bach: cosa sono e a cosa servono
​I fiori di Bach sono delle varietà di fiori selvatici, che nel loro insieme costituiscono un metodo di cura semplice e naturale. Prendono in considerazione alterazioni della personalità, disordini della personalità e vanno a riequilibrare alterazioni della psiche, soprattutto riportare l’armonia e riattivare l’energia contro un malessere interiore che può produrre un sintomo fisico. 
Da un punto di vista della medicina naturale i fiori di Bach si potrebbero considerare come un processo di purificazione della psiche, del malessere interiore, della condizione psicologica che ha creato questo stato di malessere ed eventualmente anche un sintomo fisico. 
Secondo Bach è nei fiori della pianta che è presente l’energia vitale. Quest’energia viene estratta con un metodo molto semplice: si riempie un contenitore di vetro con acqua, si ricopre la sua superficie con i fiori, quindi si espone al sole per tre quattro ore. Dopodiché si raccoglie il filtrato e si riporta dentro un contenitore di vetro, aggiungendo del brandy come conservante. In alcuni casi abbiamo l’estrazione per ebollizione. Per poter scegliere il rimedio o il mix di rimedi da consigliare abbiamo bisogno di un colloquio in modo da capire il fiore adatto alla personalità e i fiori che serviranno per superare e riportare l’equilibrio in una situazione avversa. 
Abbiamo infatti rimedi per coloro che soffrono di solitudine, per quelli che hanno paura, per quelli che sono sensibili agli stimoli esterni, per quelli che si preoccupano troppo del benessere altrui, per quelli che non provano interesse per la realtà, per chi è dotato di scarso coraggio ed è nella disperazione. 
Esiste una combinazione di cinque fiori chiamata Rescue Remedy. Si potrebbe considerare come rimedio del pronto soccorso e quello da utilizzare quando abbiamo paura di affrontare una situazione avversa, quando abbiamo avuto uno spavento, quando viviamo in una situazione particolarmente carica di tensione. In pochi minuti infatti riesce a riportare un equilibrio e a dare distensione psico-fisica. 
Per quanto riguarda l’assunzione dei fiori di Bach prendiamo quattro gocce quattro volte al giorno: la mattina a digiuno, all’ora di pranzo, a mezzogiorno, sempre a digiuno, alle diciassette a digiuno e la sera dieci minuti dopo aver lavato i denti. 
Nel caso del Rescue Remedy invece abbiamo una somministrazione un po’ diversa: quattro gocce in mezzo bicchiere d’acqua da sorseggiare fino a che la sintomatologia non è stata superata. Nel caso in cui non abbiamo liquidi a disposizione possiamo utilizzare le gocce del Rescue Remedy direttamente sulle labbra, sui polsi, sulle tempie, in modo da avere comunque un’azione distensiva. 
​Per gli studenti che devono affrontare gli esami è molto interessante il mix che contiene Genzian, Elm, Larch, Clematis, White Chestnut. Si tratta di fiori che vanno ad agire sull’ansia, sulla paura di affrontare l’esame: infatti riducono lo stato d’ansia e soprattutto vanno ad agire sul senso positivo di ciascuno di poter superare bene l’esame.
Listening 2: Gino Strada: “Perché sono favorevole ai vaccini”
INTERVISTATORE: Una campagna giusta, un principio giusto, come quello della vaccinazione può risentire di di queste pressioni? 
GINO STRADA: Mah, io farei due riflessioni, una tanto per sgombrare il campo da polemiche…ho visto anche dei commenti alla mia dichiarazione…sono favorevolissimo, non favorevole ai vaccini. Eee e quindi vorrei dire come la penso su questo argomento. Io non sono un infettivologo, quindi non mi occupo di questo settore specifico. Dico soltanto che i vaccini sono dei farmaci e, come tutti i farmaci, hanno un effetto positivo e un effetto negativo. Nel caso dei vaccini possiamo dire che al 95% ci proteggono da malattie spesso gravi, alcune addirittura mortali, e che in un caso su centomila ci può essere una qualche complicazione, qualche volta anche grave, ma in un caso su centomila. Allora questa è la cosa che deve tenere eee come dire? desta l’attenzione di chi fa sanità pubblica. Io non voglio discutere del decreto Lorenzin o…non mi interessano queste cose. Certamente sono distantissimo dall’opinione di sanità che ha… 
INTERVISTATORE: … la Lorenzin… 
GINO STRADA: non dico il ministro ma che ha ormai assunto il nostro paese. Io sono per una sanità… 
INTERVISTATORE: … pubblica… 
GINO STRADA: … che sia pubblica e… noi non abbiamo neanche più il nome del Ministro della Sanità pubblica, si chiama Ministero della Sanità, prima si chiamava Ministero della Salute, salute…come il brindisi, cioè… Sanità Pubblica! La sanità privata si faccia i fatti suoi, purché rispetti le leggi dello Stato e purché se li faccia con i suoi soldi, non con i soldi pubblici, è quello che sta succedendo. 
​Quindi dico che io sono favorevolissimo ai vaccini, perché purtroppo ho visto… ho passato trent’anni in paesi dove non esistono le vaccinazioni e vi posso garantire che è un disastro. Certo, poi ee vanno valutati da persone competenti, che non sono i politici. Cioè questo vaccino ha un tasso di utilità o una percentuale di possibile danno che rende, come dire? in termini di costi e beneficio, questo vaccino è essenziale. Teniamo però presente che ee la percentuale di persone che viene vaccinata è ee in calo in Italia e questo è una preoccupazione… è una preoccupazione… 
INTERVISTATORE: Siccome Gino strada ha parlato di questo, del…dei casi che sono assolutamente minoritari a quelli in cui il farmaco, il vaccino può avere degli effetti, ma 
GINO STRADA: … ma in realtà è anche un’aspirina, eh 
INTERVISTATORE: no, noi dopo racconteremo proprio la storia di un genitore assolutamente favorevole dei vaccini, fa vaccinare il figlio e cominciano i guai. Proprio perché sono dei casi di minoranza, io penso che lo Stato debba dare delle risposte certe e non come sta accadendo nella storia che vi racconteremo dopo la pubblicità che, nonostante due sentenze favorevoli a questo signore da parte di un tribunale, vanno ad adire ancora alla Cassazione nella speranza di complicare la vita delle persone. Intanto un applauso e ringrazio Gino Strada per essere stato con noi 
GINO STRADA: Grazie a te!
Listening 1: Dalla Danimarca la ricetta per la felicità
Copenhagen a dicembre: fa freddo ed è buio. Questa immagine desolante sembra smentire il primato che la Danimarca detiene per il secondo anno consecutivo: quello del Paese più felice al mondo. 
Nel 2012 e2013 uno studio realizzato per conto delle Nazioni Unite in 156 paesi ha indagato su quali siano i più felici. Tra i primi cinque in classifica: Svezia, Paesi Bassi, Svizzera al terzo posto, Norvegia al secondo e appunto Danimarca in testa. La questione qui è presa molto seriamente: quest’anno è stato persino creato un Istituto della felicità per rispondere alla domanda esistenziale: “Cosa ci rende felici?”. 
MEIK WIKING: “I danesi hanno molta fiducia negli altri, non solo negli amici o nei famigliari ma anche negli sconosciuti. Un altro fattore è la sicurezza: quando sei disoccupato, puoi ottenere sussidi e, quando ti ammali, hai a disposizione gli ospedali. La ricchezza è il terzo aspetto che incide sulla felicità, perché non avere soldi, porta ad una forma di infelicità. La Danimarca non è il Paese più ricco del mondo ma ce la caviamo bene.” 
Bjarne Nigaard è un avvocato e un allenatore, la sua squadra non gareggia a livello agonistico ma per lui questo non è un problema. Nel team c’è anche la sua bambina di sette anni. Bjorn si considera fortunato di vivere in un Paese il cui sistema gli lascia del tempo libero da dedicare ai suoi hobby, anche se per conservare i sistemi i danesi pagano tasse tra le più alte al mondo. 
BJARNE NIGAARD: “Guardate questo posto: è tutto gratis! Non devo pagare niente per venire qui a giocare. La città l’ha costruito perché tutti ci si potessero divertire. E se un bambino cade e si fa male, va all’ospedale, è sempre gratis. Sì, si pagano tante tasse ma ne vieni ripagato. In generale penso che siamo felici del modo in cui funziona. Ci dà sicurezza, davvero. 
“La sicurezza è uno dei fattori chiave per sentirsi felici, non solo in Danimarca ma anche in altri paesi che hanno ottenuto ottimi risultati nel barometro della felicità. I primi cinque sono paesi in cui la settimana di lavoro è in genere più corta della media, gli stipendi sono elevati. E si pagano molte tasse, come in Svezia ad esempio. Altro elemento per essere felici: il lavoro. In questi stati il tasso di disoccupazione è ben al di sotto della media europea. E anche se la felicità pura non esiste, Bjarne e sua moglie Nanna si ritengono soddisfatti. Sono contenti di lavorare entrambi, di usufruire di generosi permessi per accudire i figli e del fatto che l’eguaglianza e la libertà di scelta siano priorità del governo. 
NANNA NIGAARD ROSENFELDT: “Non ci consideriamo felici tutti i giorni ma, se osserviamo i criteri con cui vengono valutati i Paesi, vediamo che riguardano la famiglia e la vita lavorativa, quindi rispetto agli altri Paesi penso che per noi sia più facile. La scuola per i bambini è gratis, c’è un sistema che funziona, non c’è corruzione. Quando parlo con i miei amici italiani, mi raccontano dei loro politici… e mi dicono che si fa di tutto per non pagare le tasse, forse si cerca di ottenere tutto il possibile dallo stato, penso di essere felice qui, in Danimarca, con un sistema che funziona.” 
​La Danimarca e i paesi della Scandinavia risultano costantemente tra i meno corrotti. I vari referendum che proponevano di ridurre l’elevata pressione fiscale sono stati bocciati. È il prezzo da pagare per avere una sensazione di uguaglianza che sembra essere fondamentale per vivere felici.
Listening 2: Famiglie numerose in Alto Adige
È noto che in Italia si fanno sempre meno bambini. L’Istat segnala che in otto anni a livello nazionale si è registrato un calo di centomila neonati. Ciononostante, ci sono coppie che vanno decisamente contro questo trend, soprattutto in Alto Adige, e che hanno dato vita a famiglie molto numerose. Vi presentiamo due coppie: Sabrina Seppi e Marcello Manca, sette figli di età compresa dai sette ai ventitré anni, e Paola Massinio e Roberto Lubian, quattro figli di età compresa fra i sette e i diciannove anni. 
Cosa vuol dire per loro avere una famiglia numerosa? 
PAOLA MASSINIO: Essere mamma di quattro figli è una grande gioia. Significa tanto lavoro, tanta organizzazione, perché a volte proprio… l’importante è organizzarsi, sapersi organizzare, gestire un pochino la giornata, anche perché sono quattro figli di età diverse e quindi anche di esigenze diverse. Una famiglia normale, un po’ più confusionaria, è un po’ più disordinata ma le regole sono le medesime e la vita è uguale a quella delle altre famiglie. Il valore aggiunto è che non si è mai soli… non si è mai soli e c’è sempre qualcuno che ti fa compagnia, almeno quello che vedo tra i miei figli è questo, no, che c’è sempre qualcuno che mi può aiutare in vari momenti della mia giornata. 
La condivisione di spazi, tempo e interessi di una famiglia numerosa non è facile da gestire. Ci vuole organizzazione e disponibilità da parte di tutti i membri, ma alla fine ci sono esperienze che si riescono a condividere. 
ROBERTO LUBIAN: Insieme ci piacerebbe fare tantissime cose e… ne facciamo poche insieme insieme insieme. Quando ci riusciamo a prendere il tempo le facciamo; può essere una passeggiata, adesso stiamo organizzando una serie di eventi presso un’associazione dove siamo noi volontari qui al centro don Bosco e…ci andiamo anche a vedere qualche film. E il… l’andare al cinema tutta la famiglia comporta una spesa non… non da poco perché si potrebbe tranquillamente spendere cinquanta, sessanta euro così senza, senza aver fatto niente, per aver trascorso due ore insieme. E… per cui su queste cose bisogna stare attenti. 
Per una famiglia numerosa arrivare a fine mese non è sempre facile. Gli aiuti da parte delle istituzioni non abbondano, ma far quadrare il bilancio non è impossibile, ci assicurano i nostri amici, magari adottando qualche accorgimento. 
SABRINA SEPPI: Non c’è nessun vizio di nessun tipo. Cioè i bambini hanno lo stretto necessario e… si condivide tutto, cioè si tengono le scarpe, si tengono i vestiti, si tengono le mutande, si tiene tutto quello che si può passare al fratello. Poi abbiamo anche l’aiuto dei… degli amici, che ne so io spesso ricevo vestiti da un’amica, da una sorella, quindi accetto tutto, poi faccio una cernita, le cose messe bene le tengo, le altre le elimino. E siamo… riusciamo a gestirci bene. 
PAOLA MASSINIO: E’ una cosa anche molto bella, perché veramente cioè Maria, che è la terza, che gioca ancora con le bambole di Sara che era, che è la prima figlia e… e si raccontano un po’ gli aneddoti insomma quindi questi giochi passano sicuramente uno dall’altro non è che si possa comprare tutti i giorni dei giochi o tutto quello che si vede si possa comprare. Eh… chiaramente i giochi o comunque i regali arrivano nei momenti prestabiliti, che è il compleanno, il Natale e nient’altro. 
​ROBERTO LUBIAN Non essendoci delle persone che ci stiamo regalando di tutto, facendo sempre attenzione, e…siamo anche un attimino forse più consapevoli del, di quello che è il valore economico della cosa, per cui forse in alcuni aspetti riusciamo a gestirci abbastanza bene, non ci pesa eccessivamente. Dal punto di vista della tutela penso che si potrebbe fare molto ma molto di più. Quello che deve ehm… che è chiamato a diciamo a pagare in tema di contenuti in una famiglia normale è già tanto, una famiglia numerosa ancora di più. Basta pensare al… utilizzo di acqua corrente, luce, immondizie, e.…in una famiglia numerosa si è penalizzati di più perché il consumo è maggiore. E.…e in questo forse e…si potrebbe fare tanto.
Listening 1: I NEET e il futuro del lavoro tra globalizzazione e tecnologie
GIORNALISTA: “Buonasera, professor De Masi, benvenuto a 2 Next. Noi abbiamo… Lei è uno dei più importanti sociologi del lavoro che abbiamo in Italia…” 
DE MASI: “Grazie.” 
GIORNALISTA: “E l’abbiamo chiamata per parlare di questo fenomeno: di… degli inattivi, di cui lei parla anche nel suo libro „ Mappa Mundi: modelli di vita per una società senza orientamento“. Ecco, noi vogliamo parlare di questo grave problema, i cosiddetti inattivi o NEET, com li chiamano in America. Ci fa un identikit dell’inattivo italiano? Chi è… ” 
DE MASI: “Mah, assomiglia moltissimo all’inattivo di qualunque altro paese. È un giovane eee che ha terminato gli studi, negli studi spesso ha incluso anche un master, magari anche un master all’estero. Poi si è messo alla ricerca del lavoro, non l’ha trovato, non l’ha trovato, non l’ha trovato… alla fine spesso ha smesso perfino di trovarlo. E questo naturalmente è… è terribile, perché si perdono delle energie…” “Perché si cade in depressione anche è facile no? “ DE MASI: “Poi si cade in depressione. Dalla depressione si può passare anche a cose eee…” 
GIORNALISTA: “Peggiori “ 
DE MASI: “Molto molto peggiori, non autolesioniste ma lesioniste. E quindi è una perdita totale per il nostro paese, per tutti i paesi del mondo.” 
GIORNALISTA: “Senta, sono usciti oggi i dati OCSE, parlano di cifre sempre in aumento, no? L’Italia pare che sia eee solamente al terzo posto nella classifica appunto… dopo la Spagna e la e la Grecia, la Turchia e la Grecia. Ehmmm… molti famigliari, tutti noi conosciamo qualcuno, no?, che non studia, non lavora. Consigli utili ai famigliari per riuscire a recuperare questi ragazzi.” 
DE MASI: “Beh, intanto uscire dall’idea che il ragazzo non trova lavoro per colpa sua. Ci sarà pure qualche fannullone ma siamo in casi eccezionalissimi. Non è colpa sua, è colpa di una situazione complessiva, io cerco di dimostrarlo in quel libro.” 
GIORNALISTA: “Certo!” 
DE MASI: “Cioè, sarà il problema del Ventunesimo secolo la massa crescent…” 
GIORNALISTA: “Perché, perché?” 
DE MASI: “Ma perché ci sono due forze straordinarie: la globalizzazione, per cui certe cose le consumiamo qui ma le produciamo altrove. Per esempio, che so? i telefonini che si producono in Cina. E poi la tecnologia, la tecnologia mangia lavoro, che so? una macchina molto semplice fa il lavoro dei cassieri di banca e che noi chiamiamo Bancomat e così di seguito. Ora la tecnologia va avanti con una velocità enorme, perché contiene microprocessori e i microprocessori… ” 
GIORNALISTA: “Certo.” 
DE MASI: “… raddoppiano la loro potenza ogni 18 mesi, quindi ogni 18 mesi le macchine sono più potenti, e non si fa in tempo a creare posti di lavoro per eee sostituire quelli che sono eeee mangiati dalle macchine.” 
GIORNALISTA: “In questo scenario cosa possono fare i ragazzi? Questi famosi NEET, questi inattivi?” 
DE MASI: “Ma il pro… il primo problema è che noi siamo macchine efficienti come esseri umani, quindi abbiamo bisogno di lavorare. Siamo come l’elica di una, di di una barca a motore che ha bisogno di acqua…! 
GIORNALISTA: “Certo.” 
DE MASI: “… per, per mordere. Quindi il primo problema è fare qualcosa, anche qualcosa di non retribuito. Può sembrare che io qui stia difendendo lo sfruttamento di questi giovani. Non dico questo. Dico che guai a cadere nella depressione da non lavoro. Noi mettiamoci nei panni di un Nenè: la mattina suona la sveglia e il padre esce di casa per andare a lavorare. La mattina suona la sveglia e magari la mamma esce di casa per andare a lavorare. Per lui non c’è nulla da fare. Resta in una casa vuota, dove praticamente c’è solo la depressione. Quindi io consiglio anche…” 
GIORNALISTA: “Lavorare anche gratis” 
DE MASI: “… comunque di far cose. Tanto cose da fare ce ne sono: c’è da assistere le persone che ne hanno bisogno, c’è da studiare, così di seguito…” 
GIORNALISTA: “Ma cercare lavoro, riprendere a cercare lavoro attivamente può essere una soluzione…” 
​DE MASI: “Mah guardi, Nenè, quelli che ho conosciuto io, tantissimi, anche miei ex-allievi, anche bravissimi, anche con 110 e lode e con master all’estero si danno da fare, sempre, son sempre con le orecchie tese. Ma si metta nei panni di un giovane che per due o tre anni ha mandato centinaia di curricula, non ha avuto neppure risposta, è chiaro che la tentazione a deprimersi è forte.”
Listening 2: Fabio Degli Angeli e il Buonessere
Finalmente ho iniziato a fare un lavoro che mi piaceva e che mi piace, quindi per me andare andare a lavorare la mattina con la voglia di andarci è impagabile, nel senso che non c’è stipendio che… che ti possa compensare questa cosa. 
È stato da un lato una liberazione, perché finalmente potevo uscire da quel contesto, che era il contesto della consulenza, quindi ehm ambiente molto rigoroso, molto serio, molto stressante… non più i dirigenti, i manager delle banche, delle assicurazioni, delle grandi imprese, piuttosto ma piuttosto l’agricoltore con la sua attività. 
Ho iniziato la mia attività lavorativa come ingegnere meccanico e, anche se poi dopo un po’ ho cambiato, perché ho fatto un master e sono passato alla consulenza di direzione, quindi ho cambiato totalmente settore, passando a fare consulenza per banche e assicurazioni ed altre grandi aziende multinazionali. Cioè mentre prima era qualcuno che mi imponeva di fare qualcosa per una finalità che molto spesso mi sembrava sconosciuta, se non forse prendere lo stipendio a fine mese, adesso fare qualcosa per me, perché comunque sto facendo qualcosa che ha dei valori che condivido, è una cosa assolutamente impagabile che non… a cui difficilmente rinuncerei, ecco. Passare da un’attività avviata e comunque con una certa sicurezza, a questa iniziativa start-up, dove ci sono pochi soldi e tutto è autofinanziato comunque comporta del… sicuramente dei dei sacrifici o delle rinunce e… e molte notti insonni. 
Questa cosa è nata, secondo me, come molte iniziative imprenditoriali un po’ perché era cercata e un po’ per, un po’per caso. Passavo le serate a fare il business plan, a studiare come poteva funzionare, iniziare a contattare i fornitori, dov… ho mandato delle mail agli amici e ho chiesto: “Sto cercando una quindicina una ventina di tester che vogliano provare questo nuovo servizio” e abbiamo iniziato a prendere gli ordini degli amici, a fare gli ordini ai fornitori che avevo individuato… Io e Cristina facevamo tutto: facevamo il servizio clienti, facevamo gli ordini, facevamo gli acquisti, facevamo il confezionamento e poi andavamo con i primi furgoni… il primo furgone era a noleggio e… abbiamo iniziato ad andare in giro a distribuire queste confezioni agli amici. 
Rispetto ad allora adesso è una struttura molto organizzata, anche se piccola. 
Il Buonessere nasce per per venire incontro fondamentalmente a un’esigenza, che è l’esigenza di nutrirsi con prodotti buoni principalmente e genuini e quindi sicuri. Ovviamente abbiamo una forte attenzione all’ambiente e quindi a tutti i temi dell’… dell’ecologia e per questo motivo cerchiamo di utilizzare produttori che siano più vicini possibili per ridurre gli spostamenti di merce da un lato all’altro dell’… dell’Italia, compriamo solo merce italiana. Le nostre confezioni per esempio sono sì di plastica ma sono confezioni che vengono riciclate continuamente: quindi le diamo al cliente, ci riprendiamo la confezione della settimana prima, e quando andranno al macero comunque verranno macerate per dare origine a delle nuove confezioni, quindi di fatto sono… sono riutilizzabili quasi quasi in eterno. 
​Ci piacerebbe impegnarci sempre di più nel nella parte ovviamente di impatto ambientale. E ci piace pensare che i nostri clienti non siano solo persone che comprano frutta e verdura, per quanto buona e biologica da noi, ma siano persone che un po’ condividono nel loro piccolo la la la nostra nostra idea, la nostra iniziativa.
Listening 1: Roberto Peia e Urban Bike Messengers
La bicicletta è sempre stata una mia passione e sono sempre stato convinto poi che è un ottimo mezzo di trasporto, soprattutto urbano e spesso sono le passioni che ti fanno fare delle scelte che ai più possono sembrare scelte azzardate o addirittura incomprensibili. 

Sono Roberto Peia, cinquantasei anni, giornalista professionista un tempo, ora messenger, cioè corriere in bicicletta. Passare da una categoria iperprotetta come quella del giornalista, no, a fare il fattorino sostanzialmente è difficile farlo capire. Trent’anni di lavoro al computer, alla scrivania, aaaa… forse mi avevano anche un po’ logorato. Mi avevano fatto venir voglia anche di provare, di osare, di cambiare… sono arrivato a cinquant’anni che non mi passava manco per l’anticamera del cervello che avrei fatto una cosa del genere. L’idea è partita nel 2008, abbiamo fatto un po’ di confronti, abbiamo guardato soprattutto online quello che c’era in altri paesi, sì sono arrivate le prime bici eee che ci sono state fornite da un costruttore che è stato uno dei primi a credere in noi. Abbiamo preso una, un ufficio in questo luogo, che è The Hab, è un posto di coworking. Molte aziende che prima utilizzavano i motorini eee hanno scelto noi, soprattutto perché condividevano la filosofia green che sta dietro la nostra azienda. 
Noi milanesi siamo abituati invece da decenni a pensare che le consegne veloci possono essere effettuate solo in motorino o con furgoni, in realtà soprattutto poi nel centro storico la bicicletta ha dei tempi di percorrenza imbattibili. 
Le difficoltà poi per chi va in bicicletta a Milano sono quelle di avere una città che non è assolutamente bike-friendly, perché ci sono rotaie e ci sono i pavè, eee non ci sono ciclabili né percorsi adatti alle bici. 
Molti dicono appunto che Milano, avendo una struttura antica, è difficilmente eeee malleabile dal punto di vista della costruzione di ciclabili. 
Il pro… la cosa importante è non farla con soltanto come le si è fatte fino a adesso, cioè con altro nuovo cemento, con cordoli eee… Nella stragrande maggioranza dei casi nelle altre città la pista ciclabile è fatta soltanto con una striscia di vernice. 
Bisognerà fare anche una grande opera d’informazione, una grande opera a livello culturale di educazione civica. Forse se anche noi puntassimo anche come comunicazione di più sulla bicicletta e tutto ciò che gli sta attorno, potremmo avere delle ricadute anche in termini non solo di tutela dell’ambiente ma anche di occupazione, di rilancio del made in Italy niente male. 
​Forse c’è anche un po’… una scelta un po’ ideologica cioè pensare che con la mia testimonianza contribuisco aaaa appunto a creare una cultura della bicicletta che ha una sua dignità che da noi manca e che spero che… che possa andare. E poi c’è così l’amore, la passione della… il piacere di andare in bicicletta che per molti è sconosciuto, per molti è una droga.
Listening 2: La Compagnia dei cammini: viaggiare a piedi, camminare lento. Io faccio così
LUCA GIANOTTI. [legge] “Viaggio, questo irresistibile richiamo, chi non riesce a vivere la vita sedentaria sa che è inutile lottare contro la calamità che è altrove”. 
Ho cominciato a camminare nella mia vita molto verso il periodo del… post-adolescenza. Si cominciava a diffondere l’idea del trekking e quindi i ragazzi partivano per fare queste avventure di una settimana nei luoghi naturalisticamente molto selvaggi, come la Corsica, e quindi vivevano un’esperienza di immersione nella natura che a quel tempo era un cambiamento rispetto alla cultura diciamo alpinistica che c’era precedentemente. Poi dopo ovviamente la passione mi ha fatto scoprire i benefici che il camminare aveva anche su di me. Mi piaceva fare la guida, cioè mi piaceva, avevo un senso dell’orientamento anche un po’ innato, quasi primitivo. E facevo tutt’altro e pian piano ho organizzato la mia vita per far sì che il camminare diventasse sempre più importante. Volevo provare a fare del camminare una professione; in quel momento in Italia vent’anni fa nessuno lo faceva e quindi è nata La Boscaglia come associazione. 
La Boscaglia è cresciuta tantissimo in questi anni che è stata la sua esistenza. Promuoveva un camminare di più giorni in mezzo alla natura. Abbiamo contribuito a diffondere la cultura del camminare in Italia. Il passaggio culturale è stato dal trekking al camminar…al cammino cioè è arrivato il Cammino di Santiago, insomma. Quindi lì è stata la grande seconda rivoluzione epocale in questo tipo di mondo per cui alle persone non interessava più o non era più così importante essere in una natura selvaggia, ma era più importante anche vedere il mondo in tutti i suoi aspetti, le belle e le brutte cose perché comunque è un’esperienza più interiore. 
La Boscaglia è stata chiusa, non era pronta per questo tipo di percorso e subito però il percorso nostro è stato quello di rifondare un’altra associazione, La Compagnia dei Cammini, mettendo insieme un gruppo di guide cospicuo che uscivano da lì con altre persone invece che uscivano da esperienze diverse proprio per passare da un tema culturale all’altro. Cioè La Boscaglia faceva trekking, La Compagnia dei Cammini fa cammini, cioè è entrata in questo spirito nuovo, che interessa di più anche a noi. 
[voci] 
​Cerchiamo di far capire alle persone questo aspetto complesso del camminare che è quello del dire: andiamo in un territorio, lo conosciamo in profondità, a ritmi lenti, e cerchiamo di guardarci dentro. In due, tre giorni di cammino insieme, facendo fatica insieme, condividendo tante emozioni, si fanno pratiche anche di gestione delle decisioni nel tipo… condivisa. Poi cerchiamo di essere molto chiari nel far capire alle persone che tipo di esperienza stanno per andare a fare. Bisogna spiegargli che non cerchiamo di… la scorciatoia per fare meno fatica perché per noi avere lo zaino pesante vuol dire essere viandanti liberi. L’avere il proprio zaino con sé vuol dire, intanto aver imparato il… che cosa effettivamente veramente ti serve. Questo quando tu torni a casa ti fa dire: “Ma quanto sovrastruttura di oggetti abbiamo nella nostra vita che non servono a niente e non ci danno felicità perché io ero più felice quando stavo con il mio zainetto in giro per la pe… per… per i sentieri.
Listening 1: Iperconnessi
Sul pianeta oggi ci sono più schede SIM che persone, 7,8 miliardi di sottoscrizioni alla telefonia mobile contro 7,5 miliardi di abitanti. 
In Italia siamo i terzi al mondo per diffusione capillare dello smartphone: più di 8 persone su 10 ne posseggono uno. 
Secondo i dati di Apple nel 2016 un utente medio ha sbloccato e usato il suo Iphone 80 volte al giorno che vuol dire quasi trentamila volte in un anno. 
Un altro studio, contando ogni carattere digitato, calcola che mediamente tocchiamo il cellulare 2617 volte al giorno, non più tardi di 15 minuti dopo esserci alzati e prima di andare a dormire, al punto che un terzo degli americani ha dichiarato che piuttosto di smarrire il cellulare preferirebbe non fare sesso o perdere la valigia. 
LAURENT KARILA (psichiatra): Lo smartphone è come un dudù, il pupazzo della nanna. Cos’è un dudù per i bambini? Un orsetto, un peluche o un pezzo di tela che tocchiamo, che accarezziamo. È qualcosa che ci rassicura, che ci tranquillizza e ci rende meno ansiosi, che ci permette di dormire quando siamo piccoli. Gli smartphone sono la stessa cosa a qualunque età. E infatti quando le persone si svegliano durante la notte, la prima cosa che fanno qual è? Guardano il telefonino e poi si rimettono a dormire. Chiedete a chiunque cosa succede quando sei in un posto dove non c’è campo o non c’è internet o hai la batteria scarica. Tutti ti diranno: “Non è possibile”. Sono molto angosciati, è come la sindrome da abbandono ma con lo smartphone. Si chiama “nomofobia”: è la contrazione di “no mobile” e “fobia”, cioè la “paura di restare senza telefono”. 
“Credo che sia chiaro a tutti ormai che molti di noi usano troppo gli apparecchi elettronici” 
Persino il numero uno di Apple, la compagnia che ha inventato lo smartphone e che è diventata la prima società della Borsa americana con una capitalizzazione di 1000 miliardi di dollari, praticamente il PIL della Spagna, ha dichiarato che stiamo esagerando con i nostri device. 
Il telefono è talmente una parte di noi ormai che 9 persone su 10 credono che stia vibrando in tasca quando in realtà si tratta solo di piccoli spasmi muscolari. 
Come servizio ai suoi cittadini, a New York il sindaco De Blasio due anni fa ha fatto collocare sulle strade principali 400 colonnine con porta usb per ricaricare il cellulare e wi-fi gratuito a cui attaccarsi. 
Anche la moda si è attrezzata per la nostra ossessione digitale, e ora c’è la borsa che vibra quando arriva una telefonata, casomai ci perdessimo qualcosa. E le nuove auto sembrano estensioni su ruote dei nostri smartphone. 
[voci digitali] 
ELENA FUMAGALLI (responsabile comunicazione Citroen): “Si chiama mirror screen, praticamente “mirror” vuol dire “specchio”. Adesso quando io collego il cavo vedremo sul touch pad a 7 pollici 
“Questo è come se fosse il mio telefono”. 
“Esatto” 
”Whatsapp” 
“Foto. Devi schiacciare col dito. È già integrata nella base del parabrezza e con un semplice pulsante tu puoi scattare foto o registrare brevi video di 20 secondi di quello che vedi davanti alla vettura. Poi a veicolo fermo, se vuoi li puoi condividere via Whatsapp o via social media o via email. “Questa cosa di continuamente schiaccio touch, faccio così, non 
INSIEME “Ci distrae” 
ELENA FUMAGALLI: “No, è una facilità perché tu ricevi una telefonata e non devi fare niente, non devi prendere e tirare su il telefono Tu rispondi direttamente da lì”. Stiamo su internet una media di sei ore al giorno che moltiplicate per gli oltre 4 miliardi di persone che al mondo hanno la connessione, vuol dire che nel corso del 2018, passeremo un miliardo di anni online. Una montagna di informazioni e di relazioni da cui non è più possibile praticamente staccarsi. Hanno calcolato che ogni secondo viene prodotto in rete l’equivalente di 28 milioni di volumi, cioè tre biblioteche centrali di Firenze messe insieme. Ogni giorno nel mondo viaggiano 150 miliardi di mail, 66 miliardi di foto su Instagram e 42 miliardi di messaggi Whatsapp. 
​UOMO: “Nelle chat di gruppo i vecchi amici della classe di mio figlio più quella dei genitori della scuola precedente perché insomma manteniamo ancora un po’ di contatti sociali. Questa qui è quella dei primi colleghi del posto di lavoro e la chat dei ragazzini che fanno sia catechismo che calcio perché i gruppi non bastano. 1468 messaggi non letti. È un lavoro leggere le chat.”
Listening 2: Speciale oggi: fiera del volontariato
Quattro giorni e fino a una ventina di organizzazioni presenti ogni giorno. Decine e decine di contatti. Sono questi i numeri e le cifre della Fiera del Volontariato, edizione 2017. Tantissime le novità rispetto agli anni precedenti, in collaborazione con l’Ufficio Affari di Gabinetto, Caritas Volontariato e Caritas parrocchiali, Young Caritas, la Federazione per il Sociale e la sanità, il KVW e il Comune di Bolzano. 
SONIA SIMONITTO: Noi vorremmo che la fiera del volontariato avesse più visibilità, appunto perché crediamo che la società civile debba impegnarsi di più nel volontariato ed essere più solidale. Quindi a questa fiera abbiamo invitato anche le organizzazioni che non sono presenti in questi quattro giorni: che vengano a curiosare e che magari nelle prossime edizioni si facciano vivi e vogliano partecipare anche loro. 
La Fiera del Volontariato è pensata come una naturale prosecuzione del Giorno del volontariato, da sempre sinonimo di successo. In Alto Adige il volontariato ha una lunga tradizione e i volontari sono molto richiesti dalle varie associazioni del territorio. 
BRIGITTE HOFMANN: Diciamo che il volontariato è un po’ cambiato rispetto a qualche decennio fa. Adesso la gente preferisce fare degli spot diciamo, no, quindi cercare delle progettualità più ristrette, più piccole, che occupano meno tempo e meno spazio e quindi la gente… diciamo che cambiano gli interessi durante durante i vari anni, no. Per coinvolgere di più la gente, invogliarla a passare, abbiamo, ci siamo inventati anche un concorso di idee. Da qualche anno il nostro motto della fiera è “Il tuo talento è la nostra forza!” e quindi abbiamo pensato di chiedere alla gente e agli espositori che venivano qua se avevano una proposta per un nuovo motto. 
Nonostante l’impegno a 360 gradi sull’intero territorio provinciale non sempre chi ha bisogno, chi ha una necessità, è a conoscenza delle tantissime offerte e servizi a disposizione. La fiera del volontariato propone un orientamento che permette a chiunque di sfruttare al meglio le potenzialità e le eccellenze presenti in Alto Adige. 
SIMONETTA TERZARIOL: In questo periodo, a 16 anni dalla legge del 2001 con… sul volontariato, avere la riforma del volontariato, ovvero la riforma del terzo settore per l’esattezza, porta a una riflessione su quanto si possa creare insieme: coprogettazione, coorganizzazione… sono i punti forza proprio per creare coesione sociale. 
Tantissimi coloro che si sono presentati agli stand della terza Fiera del Volontariato un’ottima opportunità di conoscere in maniera veloce e approfondita la vasta offerta di volontariato nel settore sociale in provincia di Bolzano. 
NADIA MAZZARDIS: Per noi è importante essere in fiera, perché in fiera c’è molta popolazione di madrelingua tedesca. Noi cerchiamo sempre volontari che portino avanti, che donino la loro lingua a persone di madrelingua italiana, che hanno voglia di praticarla in un contesto tranquillo e senza revisione e correzione linguistica, quindi la fiera per noi è estremamente interessante. È andata bene, c’è stato molto interesse al progetto, anche alcune iscrizioni, quindi siamo molto contenti. 
​MARIAGRAZIA DAL CERO: Le persone che si sono fermate e hanno chiesto del volontariato erano anche molto impaurite della della nostra risposta, perché, insomma, quando si tratta anche di disagio psichico, le persone si spaventano e hanno paura. Invece poi spiegando che possono portare proprio, devono portare la loro esperienza di vita del quotidiano, ci sono state parecchie persone che hanno accettato di venire e di iscriversi a fare volontariato. Quindi questo è stato proprio un risvolto positivo.
Simulazione d’esame 1
Io penso che ogni persona sia diversa dall’altra e per questo il proprio tempo libero si distingue… importante è sicuramente il posto dove la persona abita: chi abita in città trascorre il proprio tempo libero diversamente dalle persone che abitano in montagna o al mare. Anche le persone che sono intorno a noi ci influenzano, e per esempio la propria famiglia. Io penso che anche gli hobby occupino una grande parte del tempo libero: se mi piace fare lo sport nel tempo libero forse vado a nuotare o a correre, ma se non mi piace fare lo sport preferisco invece di fare qualcos’altro. A me piace fare lo sport, come anche al… a 29 % degli italiani, altri preferiscono leggere, stare su internet o guardare la tv. Spesso, quando facciamo quello che ci piace, dimentichiamo il tempo e il tempo passa velocemente, quindi più veloce di normalmente e se si fa quello che piac… ci piace la mente si libera e spesso anche si sente meglio o… oppure più rilassati. Quasi la metà della popolazione è convinta di non avere abbastanza tempo libero e fra le attività preferite ci sono anche le ore passate con la famiglia o i propri cari. Tanti usano il tempo libero per rilassarsi o per stabilire i contatti sociali.
Simulazione d’esame 2
Quando si praticano degli sport di squadra si può imparare molto. Ad esempio dal punto di vista sociale, essendo sempre in contatto con altre persone, vivendo molti momenti insieme, momenti felici, momenti tristi, momenti in cui tutti sono arrabbiati, si impara a convivere con loro, si scopre anche che con certe persone si hanno rapporti migliori che con altre. Non tutti sono della stessa opinione, però, essendoci, appunto, uno scambio di opinioni, si riesce sempre a trovare un compromesso, che porta a raggiungere un traguardo nel modo migliore, un traguardo che accomuna tutte nella squadra. Questa competenza è molto importante, soprattutto anche nella vita, per esempio nel lavoro, quando si andrà a lavorare e bisogna collaborare con i propri colleghi: spesso non sarà facile, perché non tutti hanno la stessa opinione e riuscire a trovare un compromesso per appunto raggiungere poi un obiettivo comune è molto importante. Però quando si pratica uno sport di squadra ci sono sicuramente molti svantaggi, per esempio l’autonomia. È vero che in una squadra si può sempre contare sull’altro e sai che ci sono persone pronte a sostenerti, però allo stesso tempo non sei autonomo: ci sono situazioni in cui non puoi contare sempre sugli altri, puoi contare solamente sulle tue forze, e per chi è abituato ad avere sempre persone accanto può essere difficile e l’autonomia in questi casi non è proprio il punto forte delle persone. Per poi non parlare della pressione psicologica: spesso le squadre vengono allenate da un allenatore, no? E questo allenatore spesso può mettere anche molta… molta pressione psicologica perché vuole spronare la squadra a raggiungere l’obiettivo più alto, però spesso non tutto va come… come si spera, si fanno degli errori, e magari proprio per un errore proprio la squadra non è riuscita a vincere, non è riuscita ad ottenere un risultato sperato e può mettere molta ansia e molta pressione.

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